Dal Sepolcro alla Porziuncola

A cosa assomiglia il tuo posto di lavoro? Come lo “abiti”? Cosa ti evoca quando ti ci rechi ogni mattina? Mi permetto di prenderla un po’ larga…
A volte facciamo finta di non saperlo, ma il primo Articolo della nostra magnifica Costituzione dice che l’Italia è una Repubblica fondata sul Lavoro: non su Facebook, non sulla televisione, non sul Campionato di Serie A. Sul Lavoro.
Non è difficile realizzare quanto sia importante per la nostra vita attuare prima di tutto un buon autogoverno, fatto da cui dipende in modo indissolubile la nostra salute mentale. Personalmente penso che avere un rapporto sano con il proprio lavoro sia forse l’aspetto più importante su cui basare una vita davvero equilibrata.

Oltre ai contenuti del nostro lavoro (Cosa?) e alle modalità (Come e Quanto?) vorrei mettere a fuoco quelli che sono i contenitori e gli spazi in cui vengono esercitate le nostre attività (Dove?).
Se davvero il lavoro è un aspetto fondante della nostra comune convivenza civile, dovremmo pensare ai nostri posti di lavoro come a dei luoghi sacri. Ho in mente uno spazio fisico in cui realizzare una vera e propria elevazione, mettendo in gioco i propri talenti e facendo fiorire delle relazioni davvero armoniche. Come la sala prove di un coro. il posto di lavoro deve avere delle ben precise qualità dal punto di vista acustico perchè il suono risulti bello e pieno.
Può bastare poco per fare un salto quantico con il proprio pensiero, e cominciare a vedere il nostro luogo di lavoro con occhi nuovi. Quello che scrivo è il frutto di una meditazione guidata di cui ho fatto esperienza pochi giorni fa presso lo spazio artU, che ospita lo ULAB HUB di Pordenone. Da Sepolcro – per non dire campo di lavoro – possiamo cominciare a immaginare il nostro ufficio, la nostra officina, il nostro cantiere come una piccola Porziuncola
Sepolcro perchè, quando viviamo alla giornata, senza obiettivi, trascinandoci nella routine quotidiana senza mettere in gioco i nostri talenti, senza apportare il nostro contributo in termini di fantasia o di passione, lentamente stiamo morendo, e per osmosi anche il luogo che ci ospita assume le fattezze di una tomba. Ci sono diversi modi per rendere il luogo di lavoro, che condividiamo con i nostri colleghi, come un Sepolcro, e valgono per tutti i livelli dell’Organigramma: ognuno ha la possibilità di fare diventare un Paradiso quello che, senza cura, inevitabilmente diventa un Inferno.

Francesco d’Assisi ci ha insegnato la Via che è migliore di tutte. La sua tensione ideale trova nella Porziuncola il luogo dove vivere in modo veramente autentico.
Prima di tutto si fa ciò che è necessario, andando incontro a tutti i tipi di povertà e sofferenza. Poi si passa a ciò che è possibile, e infine ci si troverà a realizzare l’Impossibile. Al primo posto viene la Carità e la Fraternità, non l’accumulo di capitali e profitto. E forse anche noi possiamo declinare per il nostro luogo di lavoro la chiamata che ha sconvolto la vita di Francesco: “Va, e ripara la mia casa”

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Questo tesoro dov’è?

Mi capita spesso di perdermi nel mondo delle Idee e di trastullare il mio ego smisurato con masturbazioni mentali.
Noi sognatori e maghetti alla Harry Potter viviamo assieme a chi non percepisce le “vibrazioni” che sentiamo. E con questo non voglio dire che chi non le percepisce sia in qualche modo inferiore a me. Semplicemente ha una sensorialità (e una extra-sensorialità) che si è sviluppata in un modo diverso.

Penso alla vita di tutti i giorni. Alla fatica che più o meno tutti facciamo nel contesto lavorativo. Magari collaboriamo con persone a cui poco interessano i nostri voli pindarici sull’empatia e sulle dinamiche relazionali. In questo mondo dominano i numeri rispetto alle parole: una bella sfida per gli ingegneri civici – che di numeri se ne intendono – è senza dubbio quella di “dimostrare” che un’altra via è possibile, che “prima del profitto viene la fraternità”, come dice Luigino Bruni.
Credo fermamente che chi riuscirà a provare inconfutabilmente questo teorema avrà trovato un tesoro. Se davvero l’avremo scoperto – e penso ci siano i modi per verificarlo – non potremo tenerlo per noi. Dovremo parlare le lingue del mondo, colorare le strade.

Personalmente considero come una sorta di obbligo morale tradurre le idee, le belle parole, in qualcosa di concreto. In modo che possa essere “mangiato” da tutti. Perchè il Vangelo – giusto per fare riferimento a quel Qualcosa che un po’ riassume tutte le “Vibrazioni” di cui parlavo prima – non è solo per un’elite di fortunati; anzi è un messaggio di novità e di speranza che ha come principali destinatari i poveri e gli emarginati. Guai a rimanere estasiati in cima al Monte Tabor, perchè il nostro posto è in mezzo a loro.

Come applicare De Marzi e Maiero alla vita di tutti i giorni

Una provocazione

Oggi vi voglio raccontare di un argomento un po’ borderline. Tipo uno di quelli che non si sa se classificare come baggianata pazzesca o intuizione finissima.
Sono stato provocato da una persona a me molto cara nelle scorse settimane. Mi trovavo in una di quelle giornate in cui non mi girava proprio benissimo e, come spesso faccio, mi è venuto di cercare negli altri risposte alle mie domande. Dopo aver raccontato delle mie fatiche a trovare soddisfazione nel lavoro, ad essere pienamente presente e concentrato, la persona che mi ascoltava mi disse che anche io avrei trovato il modo di fare qualcosa di veramente “bello”. Un po’ criptico… al momento non ero del tutto convinto.
Per alcuni giorni mi sono chiesto cosa ci potevo trovare di veramente bello nelle tubazioni di scarico, nei raccordi Storz e nelle stasatrici meccaniche (potrei proseguire). In un momento di ispirazione mi è venuta un’intuizione…
Mi sono accorto che forse le cante di Bepi De Marzi e Marco Maiero portano dentro di loro un messaggio che può andare oltre il pentagramma.

Regole e trascendenza

Non basterebbe un’enciclopedia per definire la musica. Nel tempo si è manifestata in forme molto diverse, dalla massima spontaneità all’estrema complessità. Penso che ognuna di queste espressioni abbia una sua dignità e che la bellezza in musica stia nell’eterno conflitto tra ordine e disordine, tra tensione e quiete. Le dissonanze non sono mai fini a sé stesse ma portano colore all’armonia, per poi venire risolte attraverso una cadenza.
C’è un parallelo tra il mondo delle note e la vita di tutti i giorni. Attraverso la musica la nostra realtà trova una via alla trascendenza. Gli attriti che viviamo con gli altri sono come le dissonanze; la padronanza della risoluzione di queste ultime può esserci d’aiuto nella risoluzione dei conflitti. Guai se non ci fossero le dissonanze! La vita, come la musica, sarebbe piatta e sciapa.
Cosa cambierebbe se cominciassimo a pensare ai gruppi in cui viviamo non più come a battaglioni di soldatini o – peggio – di reclutati in campi di lavoro, ma come un coro o un’orchestra? Anche questa è trascendenza. Chi canta in un coro o suona in una band può darvi una risposta. Un buon direttore di coro – come un buon imprenditore – deve saper gestire le proprie risorse umane per ottenere un’armonia gradevole; deve avere autorevolezza e carisma per essere riconosciuto, ed è bene che sappia anche alternare il rigore con momenti di leggerezza e tenerezza.

Intenzionalità e musica

Ogni pezzo musicale porta dentro di sé un’innata intenzionalità. C’è chi crea musica solo per fare soldi, chi per elevarsi, chi solo per divertire e divertirsi, chi per commuovere o far innamorare. Una musica insipida, che non suscita alcuni tipo di emozioni non ha senso di esistere.
Si può auspicare che anche il nostro stare insieme abbia un’intenzionalità. Dalla bontà di questa intenzione tutto dipende. Se imparassimo dalla musica la bellezza e la poesia di mettere insieme le nostre voci – in senso lato – per creare una bella armonia, forse avremmo contribuito a lasciare il mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato.

Sulla lettera P

Un mio carissimo amico messicano (Ciao Daymanito!) un giorno mi ha raccontato di come ad un corso di lingua l’insegnante avesse stimolato la classe con questa frase: “Perfect Preparation Prevents from Poor Presentation” (La perfetta preparazione previene una povera presentazione). Da quella volta questa frase è diventata un mantra, nonostante non sia sempre stato in grado di metterla in Pratica.
Recentemente ho avuto modo di notare quante altre parole “curative” hanno la lettera P come iniziale. Se volete posso accompagnarvi in un fugace viaggio tra le parole che iniziano per P.

P come Professionalità. Quante volte ci sbatto la testa contro? Eppure è di fondamentale importanza per qualsiasi lavoro, indistintamente.
P come Prudenza. Un salvavita non da poco quando si è avvezzi ai voli Pindarici come il sottoscritto. Ci sarà un motivo se è annoverata tra le virtù teologali!
P come Pietà. Di solito l’ingegnere convenzionale non conosce questo termine, rimanendo nei confini di una fredda razionalità calcolatrice. L’ingegnere civico dovrebbe praticarla abbondantemente.
P come Provvidenza. Anche in questo caso esploriamo un terreno scivoloso per l’ingegnere medio. Possibili collegamenti e corrispondenze con la Sincronicità alla Jung, come piacerebbe ad un mio amico blogger.
P come Piacere. Anche quello ci vuole e l’ingegnere civico non lo demonizza in alcun modo. Poi dopo essersi sporcati le mani con l’algebra lineare, analisi II, e altre amenità, uno ha il diritto di appagare i propri sensi.
P come Pazienza. Perchè come dicono i Rolling Stones: non si può sempre avere quello che si desidera ma si ottiene sempre quello di cui si ha bisogno.

P come Potenza. Questa è proprio da ingegneri convenzionali!
P come Poesia. I versi ci aiutano a interpretare la realtà quotidiana e a trascenderla. Dedicata a Dante e a tutti gli Stilnovisti di ieri, di oggi e di domani.
P come Pensieri e Parole. Dedicata a Lucio Battisti.

P come Povertà. Una sfida per gli ingegneri civici di questo tempo. Nella speranza che sia sempre più una povertà di Spirito e non una povertà materiale.
Infine P come Preghiera Per la Pace. Dedicata al mondo intero.

Le follie dell’imprenditore

The Village
Un paio di mesi fa stavo vivendo un periodo di intensa euforia, e mi sono ritrovato a bere un aperitivo con una mia carissima amica. Le stavo raccontando di come mi sembrava che in quel momento tutto mi girasse incredibilmente bene, fino a che siamo arrivati a parlare di un progetto che avevo in testa. Un po’ visionario e forse poco concreto, come tante delle idee che mi frullano per la testa. Lei mi invita a giocare a “The Village”. Cito dal sito di Dof Consulting:

THE VILLAGE è uno strumento in cui si incontrano una collezione di digital art, un modello di sviluppo delle competenze e la dimensione del gioco. Quindici Figure che ci accompagnano in un viaggio di scoperta, analisi e riflessione all’interno del mondo delle competenze sociali.

Mi accorgo subito che una delle carte che mi rappresentava – perlomeno in quel momento – era quella del folle. Panico. O forse no.
La mia amica mi rassicura che quella è la carta che tutti vorrebbero avere e che se in un’organizzazione assieme al folle vivono in equilibrio anche le altre figure il mix diventa esplosivo, in senso buono.

Settimana Sociale 2017
Dal 26 al 29 Ottobre 2017 si è tenuta a Cagliari la 48esima Settimana Sociale con tema “Il lavoro che vogliamo: libero, creativo, partecipativo, solidale”. Devo dire che mai titolo mi è sembrato più azzeccato. Ieri sera ho partecipato ad un convegno a Pordenone. Due sono le cose che mi hanno colpito: prima di tutto il fatto che non si è parlato molto di creatività e poi l’assenza quasi totale degli under 40 (sì perchè a 40 anni si è ancora giovani, vero?).
Si è parlato di giovani come se si trattasse di un popolo di un altro pianeta. Sinceramente, visto il titolo dell’incontro (lo stesso della Settimana Sociale), mi aspettavo un sold out, invece probabilmente ha vinto la movida del venerdì sera, o il divano. Comunque non giudico nessuno, chi sono io per farlo? Penso che tanti under 40 abbiano fatto o stiano facendo fatica ad incastrarsi in un lavoro che non lascia molto spazio alla creatività, alla follia (quella buona) e alla ricerca della bellezza. Va anche detto però che sicuramente c’è qualcuno che ci sta riuscendo, ma credo che purtroppo si tratti di una minoranza.

Il lavoro e il disagio psichico
Infine vorrei toccare un aspetto che mi sembra non trascurabile. Si tratta del legame, presunto dal sottoscritto, tra l’epidemia di disagio psichico tra i giovani – e io modestamente ne so qualcosa – e la difficoltà antropologica di trovare un lavoro “che ci piace”. Penso che avere successo nel lavoro sia quanto mai fondamentale per un giovane. Non sto di parlando di contratti milionari, ma di alzarsi la mattina contenti di andare a lavorare, di incontrare i propri colleghi e i propri capi, di avere la sensazione di contribuire al Bene Comune.

Io credo fermamente che un compromesso, una soluzione, non solo sia possibile, ma anche alla nostra portata. Alla portata degli uomini del nostro tempo. Si tratta solo di trovare un accordo. Armonia deve essere la parola chiave. Avete bisogno di un diapason? Io ne ho a iosa!

Un’overdose di fraternità

Lo diceva ancora una volta il solito BP. Uno dei punti della legge scout recita:

sono amici di tutti e fratelli di ogni altra guida e scout

Ma cosa vuol dire? Spesso è difficile avere una relazione equilibrata con i propri fratelli e sorelle, ed essere amici di tutti può anche voler dire essere amico di nessuno se non si va più in profondità.
Eppure io credo che l’amicizia vera e l’autentica fraternità esistano, e siano possibili anche laddove umanamente ci mettiamo una pietra sopra e pensiamo che sia irraggiungibile. Penso che sia più facile considerare come amici e fratelli quelle persone che ci fanno sentire bene, perchè questo è quello che ci ricordiamo di loro. Quando qualcuno per qualche motivo ci fa stare male è più difficile recuperare e allora diventa più facile che il rapporto si incrini e degeneri in negativo.

Vorrei provare ad affrontare il tema dell’amicizia e della fraternità nel mondo del lavoro. Di certo non sono il primo a farlo. Vi invito a leggere questa intervista a Luigino Bruni. Giustamente Bruni ricorda che anche Caino e Abele erano fratelli. Penso che siamo chiamati a riconoscerci in qualche modo fratricidi, anche se non arriviamo al punto di uccidere se non forse con le parole; e poi funziona secondo me il chiedere scusa e invocare una forza più grande per aiutarci a perdonarci a vicenda e a riavvicinarci. Il gioco sta tutto qua secondo me. Essere fratelli e amici di tutti non vuol dire che d’ora in poi non ci saranno più conflitti; piuttosto che avremo gli strumenti per risolverli. Il deficit di fraternità negli ambienti di lavoro, con i colleghi, con i clienti, perché no? anche con i concorrenti, è davvero la piaga dei nostri giorni.

Un certo Robin Good ha scritto un libro: “da Brand a Friend”. L’ho acquistato e lo sto leggendo. Mi piace l’idea di creare una relazione di amicizia con i miei clienti, che scambiano la loro amicizia con la qualità dei contenuti che pubblico. Per questo credo in un marketing che non sia asettico, ma che sia in grado di suscitare emozioni negli altri e di costruire relazioni di amicizia e fraternità.
Per dirla ancora una volta con Luigino Bruni:

L’obiettivo non è il profitto ma la fraternità.

E tutto verrà di conseguenza.

 

Inventario fisico o inventario metafisico? Riflessioni semiserie di fine anno

Mentre il 2016 volge al termine in tante aziende ed esercizi commerciali è tempo di inventario; più o meno cartaceo o digitale, più o meno automatico o tradizionale. Insomma c’è gente che conta, e il sottoscritto non è da meno!

Mentre contavo viti, capicorda e valvole di sicurezza sono venute a galla delle considerazioni che ora ho piacere di condividere con voi.
L’inventario fisico è il punto della situazione delle giacenze in un determinato momento. Si cerca un riscontro rispetto a quello che si ha. Uno potrebbe dire che quello che si ha viene assunto a indicatore esplicito di un valore. Ecco, l’inventario metafisico propone una rivoluzione copernicana in questo contesto, arrivando a concepire come in realtà la domanda che dobbiamo porci a cadenza regolare è “chi sono? chi siamo?”. Questo sì che è il vero valore di cui siamo proprietari! Consiglio la lettura di “Essere o avere” di Erich Fromm.

In seconda battuta mi sono accorto che tanti articoli non sono praticamente stati movimentati rispetto all’anno precedente. Inevitabilmente si è formata della polvere che ne ha diminuito la potenzialità in termini di prestazioni. Così anche noi dobbiamo stare attenti a non far depositare troppa polvere sui nostri valori più autentici. Dobbiamo custodirli come se fossero delle pietre preziose. E anche se non vogliamo metterli in bella mostra è bene che ne abbiamo cura e siamo consapevoli di quello che loro stanno a significare per la nostra vita. La movimentazione si traduce nel vivere esperienze significative, che ci arricchiscano. Con un po’ di fantasia tutti possiamo escogitare qualcosa di simpatico e divertente in questo senso.

Infine ci sono gli altri. Non è il numero di amici su Facebook il miglior indicatore di valore per chi vuole cimentarsi con l’inventario metafisico. Un giorno un mio caro amico mi ha dedicato questa citazione:

A single rose can be my garden… a single friend, my world.
Leo Buscaglia

(Il video di Suzanne Vega è la mia dedica a quello stesso amico)
Ci ho messo un po’ a capirla. Vi invito a meditarla e vi auguro per il 2017 di gustarla nel suo significato più pieno.
Buon inventario!

Il Signore della Danza

Di sabato volevano impedirmi di danzar

Ho sempre ammirato chi sa danzare anche se purtroppo non sono portato per questa attività che può essere molto nobile. Mi affascinano tutte le forme della danza, dal folk al pop, dal classico al rock. L’unica cosa che mi riesce abbastanza sono i movimenti spontanei e disarticolati, in cui mi sfogo in privato, stimolato in genere dal rock and roll filtrato attraverso i miei gusti.

Mi viene da pensare che la danza rappresenti una bellissima modalità di espressione del corpo umano. È bene che il corpo si muova, altrimenti la salute ne risente. Penso che danzare sia un modo per non invecchiare. Non si dovrebbe mai smettere di danzare, ovvero bisognerebbe danzare senza intermissione, prendendo spunto dalla Preghiera del Cuore che mi ricorda il bellissimo libro “Racconti di un pellegrino russo”.

Prendo spunto da una canzone che è tra le mie preferite, il Signore della Danza, tradotta e tratta dal Musical “The Lord of the Dance”.

Quando ai fuochi serali dei campeggi scout si canta e si schitarra questa canzone il buonumore è assicurato. Un altro superpotere di questo pezzo è che il testo italiano è una summa del Catechismo della Chiesa Cattolica. Una volta mi sono lasciato andare e ho invitato tutti gli scout a danzare come meglio credevano, perchè questa canzone non si può solo cantare o suonare, ci si deve scatenare nel dance floor. È stata una bomba!

Infine una riflessione sul sabato. Il messaggio evangelico è chiaro: se il lavoro è un’espressione di amore – come sarebbe bello che fosse – non si può astenersi dal lavoro in nessun momento. Non c’è sabato che tenga. Non si può mai smettere di danzare; non si può mai smettere di amare.

Ingegner Marco Gabelli

Riflessioni semiserie sul lavoro

Si torna a lavorare e prendo spunto per una semplice riflessione sul lavoro, in particolare sulla sua finalità. Si può lavorare per guadagnare, ovvero mettendo al primo posto l’accumulare denaro; oppure per sbarcare il lunario, magari dovendo mantenere una famiglia. Infine il lavoro può essere inteso come realizzazione di sè stessi mentre si soddisfano i bisogni di qualcuno.

I progetti di ingegneria civica partono semmpre da una richiesta reale che emerge da una persona. Compito dell’ingegnere civico è quello di rendere possibile soddisfare questa richiesta. Ovviamente non tutte le richieste sono adatte ad un progetto di ingegneria civica. Il sistema più semplice ed efficace per valutare l’adeguatezza di una richiesta consiste nel chiedersi se la richiesta è compatibile con la legge scout.

Gli articoli della legge che sono più calzanti in merito al lavoro sono:

  • si rendono utili e aiutano gli altri, e questa ha a che fare con la finalità prima di qualsiasi progetto;
  • sorridono e cantano anche nelle difficoltà, perchè il buonumore è importante mentre si lavora;
  • pongono il loro onore nel meritare fiducia, perchè il lavoro non è uno scherzo
  • sono laboriosi ed economi, perchè c’è tanto da fare, come dice Giorgia
  • amano e rispettano la natura, perchè qualsiasi progetto deve avere un impatto positivo sull’ambiente

Per essere concreto riporto un esempio di un semplice progetto di ingegneria civica che ho realizzato insieme al mio reparto durante il campo estivo di quest’anno a Studena Bassa.
Un giorno si è presentato al campo un simpaticissimo signore che aveva un campo già falciato e aveva bisogno di qualcuno che rastrellasse il fieno. Visto che noi eravamo una quindicina di ragazzi e ragazze di buona volontà, e visto che ormai lui e sua moglie non avevano più l’età per fare sforzi, ci chiedeva se potevamo fargli questo servizio, e che ci avrebbe fornito tutti gli strumenti necessari e ricompensati con un rancio alpino – era l’ex capo gruppo degli alpini di Moggio Udinese.
Al momento in cui abbiamo proposto l’attività ai ragazzi abbiamo trovato solo musi lunghi; poi, complice la bellissima giornata e della simpatia del signor Bruno, il buonumore si è rimpossessato di noi e in poco tempo siamo riusciti a soddisfare la richiesta,
E oltre al rancio è arrivato anche un bicchierino di fragolino per tutti!
Poi abbiamo scoperto che Bruno conosceva gli alpini di Aviano, e poi gli ho raccontato che io canto nel coro ANA di Aviano. Sembrava che ci conoscessimo da una vita.

Questo vale anche per dire che un progetto di ingegneria civica non deve per forza essere qualcosa di mastodontico. L’importante è l’applicazione del paradigma, che poi non è nemmeno tanto complicato.