Io esco dalla porta principale

Oggi sono in vena di svolte, di cambiamenti, ho voglia di novità. Sarà un cambiamento importante per me, di sicuro; forse meno per il resto del mondo che magari riuscirà a sopravvivere benissimo anche senza l’ingegneria civica. Mi trovo un po’ come se dovessi pianificare un’arrampicata perigliosa, cercando appigli che mi potranno salvare la vita senza cadere nel vuoto e farmi davvero male.

La prendo un po’ alla larga. Oggi ricorre il terzo anniversario della morte del mio carissimo Padre Italo, cui voglio dedicare l’intero progetto di Ingegneria Civica, nella speranza che, un giorno, un po’ di quello che ho seminato possa attecchire sul Terreno Buono e fare frutto, per il Bene di tutti. Stupito per le coincidenze significative che riscontro con la mia storia personale, vi consiglio di rivedere la scena finale del film “Nel Nome del Padre”, da cui il titolo di questo post.

Da cosa voglio uscire?

Mi riferisco a quello che mi ha detto Don Federico Zanetti (Diocesi di Concordia-Pordenone) quando gli ho chiesto qualche consiglio in merito a quale fosse la modalità migliore per diffondere i contenuti riguardo all’Ingegneria Civica, in cui credevo e tuttora credo molto, considerandoli la mia vera e propria Tesi di Laurea. Federico mi ha consigliato di passare dal “Virtuale” al “Reale”. Capolavoro di sintesi! In quasi un anno di elaborazione di questo messaggio sono arrivato alla ferma conclusione di voler chiudere questo blog: penso che, più che WordPress, Facebook, Twitter e simili il palco giusto per questi contenuti siano i bar, le piazze, i palasport, gli stadi, etc. Voglio prendere spunto dal mio illustre e omonimo concittadino, il Beato Marco d’Aviano, che ha infiammato con la predicazione del Vangelo le Piazze di tutta Europa. Forse è arrivato il momento di passare dall’Europa al Mondo Intero, con il massimo rispetto della “Biodiversità” dei Popoli del Globo, e animati dall’Amore disinteressato che è proprio dei Santi.

Trovare l’Alba dentro l’Imbrunire

Un po’ preoccupato, il mio terapeuta si è sincerato che io leggessi questo desiderio di uscire dalla porta principale come un’Entrata in qualcosa di nuovo. L’ho tranquillizzato… è proprio così! Mi sembra di essere un po’ come Dante che passa dall’Inferno al Purgatorio, o ancora meglio dal Purgatorio al Paradiso; percepisco una discontinuità, un’evoluzione che mi affascina e che mi voglio gustare condividendone i frutti con il popolo delle Beatitudini. Sono consapevole che c’è ancora tanta strada da fare e che la difficoltà più grande sia proprio cogliere il germe di rinascita dentro qualcosa che sembra morire.

Provateci, è alla portata di tutti!

Alpinità e Scoutismo ad Aviano: storia di un’Amicizia

Viviamo tempi in cui alcuni rimpiangono la leva obbligatoria, come se fosse la soluzione a tutti i mali dei nostri giovani.

Viviamo tempi in cui giovani motivati a volte rischiano di esaurire le loro energie vitali rincorrendo riunioni e regolamenti al limite del disumano.

Credo che più che di leva obbligatoria e di associazionismo alienato ed alienante sia il caso di parlare di un servizio incentivato, in cui i nostri ragazzi e le nostre ragazze possano fare delle esperienze edificanti, assecondando i loro talenti e le loro inclinazioni

In occasione della festa di San Martino, prototipo del Cavaliere Cortese Cristiano, voglio provare a raccontare la storia dell’amicizia tra gli Scout e gli Alpini di Aviano. Una storia che non ha un lieto fine, perché per fortuna è ancora viva; e non pretende nemmeno di essere esclusiva, perchè sono convinto, o almeno lo spero, che in altri Paesi funzioni più o meno alla stessa maniera. Ve la racconto così come l’ho vissuta.

Prima di tutto mi chiedo se veramente sia giusto parlare di amicizia tra Scout e Alpini ad Aviano: sono convinto di sì, anche se forse non ne siamo tutti pienamente consapevoli. Se non fossimo già amici sarebbe davvero il caso che cominciassimo ad esserlo, per un chiaro reciproco vantaggio: lo Scoutismo e l’Alpinità hanno dei forti valori in comune e delle specificità che ne distinguono le modalità d’azione ma è evidente che la libertà della gioventù di esploratori e guide assieme alla sapienza semplice e umile e allo spirito di servizio delle penne nere rappresenta un patrimonio inestimabile per il nostro Paese se solo fossimo in grado di farli reagire insieme.

La storia di questa amicizia è fatta di Ranci Alpini per gli eventi associativi, come per il San Giorgio del 2016 presso il Colle, prontamente gestito dal gruppo “Chei de la Stua”. Ci sono state altre innumerevoli occasioni di servizio, come il supporto dato da molti genitori alpini alle attività logistiche del Gruppo.

Presso la Chiesetta degli Alpini di Piancavallo, ogni prima domenica di Agosto si celebra una Santa Messa molto partecipata dalle Autorità ma soprattutto da tutti gli amici degli Alpini. Di Aviano e non solo. E sono tanti. 

Penso che sia molto significativo che l’Altare di questa Chiesa sia stato costruito e donato da un gruppo di giovani di Scout, il Clan del Gruppo di Aviano a cavallo della fine del vecchio millennio.

L’altare è stato ricavato dal tronco di un albero recuperato sul greto di un fiume durante un campo estivo e magistralmente lavorato durante la stagione invernale.

Non hanno scelto un’altalena o una casa sull’albero, ma un altare. La scelta è stata sicuramente impegnativa ma molto probabilmente sarebbe meglio parlare di una sorta di investimento sul loro futuro. Si tratta di una di quelle esperienze che raccontare ai propri figli o nipoti avrà un valore importante. 

La musica è un altro aspetto che lega gli alpini e gli scout; si vede che l’aria di montagna fa venire voglia di cantare! E chi lo può dire più di me? La mia chitarra mi ha accompagnato in mille avventure assieme ai mie fratelli e sorelle scout. L’esperienza con il Coro ANA Aviano, di cui orgogliosamente faccio parte, mi sta riempiendo di gioia. Essere scout ed essere alpini è un po’ come essere cavalieri cortesi, un po’ come San Martino: non è impossibile, è solo questione di tempo!

Una Valle Caleidoscopica

La Val Cellina è per me un ambiente fantastico. Una sorta di Narnia, frutto dell’immaginazione di C. S. Lewis, in versione friulana. So di non sapere e per questo non mi voglio vantare di esserne un profondo conoscitore; di sicuro ho in mano tanti pezzi di puzzle, tanti piccoli quadretti che ad una prima impressione possono apparire totalmente privi di relazione. Sono curioso di sapere cosa viene fuori se provo a incastrarli.

La presenza scout in Val Cellina

Si tratta di una storia bella da raccontare. La Base di Bosplans è un punto di riferimento per lo Scoutismo Friulano, come lo è quella di Colico per lo Scoutismo Italiano. Vi rimando al libro pubblicato in occasione dei 25 anni della Base, per attingere alla documentazione storica, che è molto vasta. Personalmente tra l’esperienze più significative che ho vissuto da scout in Valcellina ricordo con grande piacere il Campo di Formazione Metodologica con memorabile ambientazione sul film “I Blues Brothers” e catechesi su “Bruce Almighty – Una settimana da Dio” nel 2006. E poi il Campo di Zona per il Centenario dal primo Campo Scout a Brownsea, nel 2007, ambientato proprio sulle Cronache di Narnia. Qualche ragazzo di quella volta forse si ricorderà di una mia intensa interpretazione del Fauno Tumnus in calzamaglia assieme all’amico Daniele di Fiume Veneto nei panni di un’improbabile Lucy, nel pratone di Pinedo.

Non si può parlare di Val Cellina e scoutismo senza menzionare Ezio Migotto. Ogni scout pordenonese, friulano e forse anche oltre, associa il suo nome alla Base di Andreis e alla sua passione per l’educazione dei ragazzi e delle ragazze attraverso l’applicazione del metodo scout. Personalmente ricordo un momento preciso, un suo inciso pulito ed essenziale: al termine di un Campo ero molto stanco, forse demotivato per non aver trovato la mia dimensione come capo; lui mi ha incitato a non mollare e a distanza di anni lo ringrazio per quelle parole e gli dedico questa Canzone , una delle mie preferite in tutto il repertorio scout.

Prospettive di Sviluppo Sostenibile

La ValCellina non è solo un parco giochi per gli scout! Si tratta di un ecosistema meraviglioso e delicato, con la presenza di opere ingegneristiche che hanno avuto, hanno ancora e avranno in futuro un grande impatto sulla vita dell’uomo e della Natura. Una di queste – la vecchia strada della ValCellina – è stata progettata da un mio antenato, l’Ing. Federico Gabelli. Le dighe di Barcis e Ravedis sono state progettate per fornire acqua potabile ed energia elettrica alla popolazione di valle, oltre a cercare di garantire un’efficace laminazione delle piene.

Mio fratello Giovanni, titolare di Nuova Contec srl, azienda di Montereale Valcellina, ha avuto un’intuizione geniale, che io ho sviluppato: il marchio CellinaValley lega l’azienda al territorio, alla formazione di operatori specializzati nel campo dell’idraulica urbana e della protezione idraulica del territorio. Sarebbe bello se il brand CellinaValley fosse associato a queste tematiche così come quando parlando di Silicon Valley si pensa immediatamente all’hi-tech.

Il Dialogo tra Scienza, Tecnica e tutto ciò che è Umanesimo, va visto come motivo di arricchimento reciproco. Va considerato come un volano che ci aiuterà a “ritornare all’innocenza” di una vita vissuta in equilibrio con la Natura, con gli altri, e per chi crede con Dio.

Il momento della mediazione e della sintesi

Oltre agli scout e agli ingegneri ci sono diverse categorie per cui la Val Cellina rappresenta una sorta di luogo sacro; è evidente che sia necessario un lavoro certosino per individuare un filo conduttore che dia un senso compiuto al puzzle nel suo complesso. Si tratta di un lavoro di mediazione e di creazione di significato che può essere un’occupazione a tempo pieno per molti.

La Poesia di Federico Tavan – originario di Andreis e morto nel 2013 – ci permette di provare a “stare nelle scarpe” degli autoctoni, e rappresenta una preziosa chiave di lettura della vita vissuta nella Valle. Questa voce non è l’unica che ha raccontato la Val Cellina, di sicuro una delle più acute ed autentiche..

Il paradigma dell’Ecologia Integrale così come inteso da Papa Francesco nella Laudato Si risulta essere particolarmente rilevante in questo contesto. Il campo di azione per gli ingegneri civici è praticamente sconfinato!

Photo Credits: Roby Stradella 2021

Buongiorno e Sogni d’Oro!

Forti folate di Spirito Olimpico hanno solcato i cieli del Giappone in questa estate: mai come quest’anno mi sono sentito coinvolto e orgoglioso di essere italiano, grazie alle imprese realizzate a Tokyo da Jacobs, Tamberi e co.

Ricordo quell’abbraccio inimmaginabile tra quelli che prima per me erano dei perfetti sconosciuti e in un battibaleno sono diventati degli eroi nazionali. La loro vita cambiata nel giro di 9 secondi e 80 centesimi; la differenza fatta da un salto di 2 metri e 37 centimetri. E come la loro quella di tanti altri atleti. Le loro storie sono state ampiamente raccontate, quindi sorvolerò su questo aspetto: mi voglio soffermare sul significato dell’Oro Olimpico; non dell’Argento, non del Bronzo, dell’Oro Olimpico!

L’Oro è il metallo che non conosce la corruzione ed è inseguito dagli atleti non tanto per il suo valore economico, quanto per il suo significato, che facilmente si abbina ad una felicità perfetta, una gioia che non conosce tramonto. Penso che l’idea di inseguire il sogno di un Oro Olimpico non abbia niente a che fare con l’egoismo o con l’arrivismo. Una mia amica mi ha detto che secondo i principi del Tao dobbiamo puntare ad annullarci piuttosto che a competere. Questo ragionamento mi sembra giusto fino ad un certo punto: se siamo stati fortunati ad avere ricevuto in dono dei talenti – come quelli della famosa Parabola – siamo chiamati a metterli in gioco. Questo non vuol dire essere esibizionisti o narcisisti ma semplicemente esprime il desiderio di risplendere, proprio come l’Oro.

Ma cosa fare se ci accorgiamo a 40 anni che difficilmente possiamo vincere i 100 metri piani? Niente paura! Ognuno nel nostro piccolo può vincere il suo Oro Olimpico, senza il bisogno di cambiare completamente vita. Prima di tutto bisogna capire che per vincere l’Oro Olimpico bisogna alzarsi dal divano; poi basta conoscere sé stessi e individuare quelli che sono i talenti più vincenti e coltivarli, allenarsi e sognare, superare i propri limiti.

Personalmente ricordo nitidamente un momento in cui ho avuto la percezione di aver vinto un Oro Olimpico: Campo di Reparto 2016 a Studena Bassa per il Gruppo Aviano 1 (vedi immagine in evidenza)! Per molto tempo avevo avuto paura di non farcela, poi ho messo insieme i miei talenti, l’aiuto dei miei amici ed è venuto fuori qualcosa di cui sono ancora orgoglioso.

Alcuni spunti che per me sono stati utili li potete trovare in “Giocare il Gioco” di Sir Robert Baden Powell, o nella “Predica della Perfetta Letizia” di San Francesco: alzarsi dal divano per buttarsi nella mischia e per vincere sé stessi superando i propri limiti. Così potremmo davvero diventare “Cavalieri” con la Medaglia d’Oro al collo!

Tra Olimpiadi, Europei di Calcio ed altri eventi sembra che sia stata proprio un’Estate italiana! Possa questa essere una grande opportunità da cogliere. Spero tanto che potremo accorgerci di quello che potrebbe essere il nostro futuro prossimo e quello di tutta l’umanità; come degli Skipper scafati dovremo essere in grado di sentire il vento ed indirizzare la nostra barca sempre più lontano!

L’augurio è quello di non risvegliarsi dai nostri Sogni d’Oro, ma di realizzarli con lo stesso impegno e dedizione con i quali i nostri campioni ci hanno fatto sentire orgogliosi di essere italiani.

Il Duomo di San Zenone: la Triple Rock Church di Aviano

In qualità di Kapellmeister e di frequentatore assiduo del Duomo di San Zenone mi sento in dovere di raccontarvi quello che questa chiesa rappresenta per me. Premetto che sono un fervente cattolico, ma mi reputo abbastanza aperto di vedute, non un bacchettone fariseo, per intenderci. Non voglio convertire nessuno, sia chiaro.

Parto con una invocazione alle Muse, anzi alla Musa per eccellenza, la Madonna, anche lei presente nel Duomo con una bella statua, cui gli Avianesi tutti sono molto devoti.


Per gli amanti della storia dell’arte consiglio di fare riferimento al libro rappresentato in figura, scritto da Mons. Eugenio Filipetto, mio amato prozio. Non sono un esperto della materia, ma credo che i tesori non manchino: personalmente rimango estasiato ogni domenica durante la Messa contemplando la pala dell’Altare Maggiore (Ascensione di Gesù al Cielo, con apostoli e San Zenone in abiti pontificali). Molto significativi sono il Battistero di Padre Marco, messo in evidenza recentemente per volontà del Parroco Don Franco Corazza, e la Statua del Beato, posta sull’altare vicino all’ingresso del lato destro, ai cui piedi si trova un libro in cui i fedeli possono scrivere le loro preghiere.
Mi permetto di riportare due note personali. Oltre ad avere ricevuto tutti i Sacramenti in questa Chiesa, quasi ogni mattina mi ci reco per leggere la Parola di Dio del giorno: vi assicuro che questo mi sfama e mi soddisfa almeno quanto una bella brioche con cappuccino al Bar Sport.


E poi alla fine non posso dimenticare la Musica: dalle prime esperienze all’organo durante le messe di Natale quando avevo 10 anni, fino all’animazione liturgica assieme alla mia amata band, i THEevangelisti, ho camminato nella fede accompagnato dalle note. Se avete bisogno di un po’ di catechismo, come Jake ed Elwood, avete trovato il posto giusto.
Per concludere, il Duomo di San Zenone può essere considerato come una Vecchia Signora, apparentemente povera, ma che al visitatore attento dischiuderà una ricchezza inconsueta, che nulla ha da invidiare ad altre sorelle più blasonate. Non un tempio vuoto, ma la Casa di una Comunità viva.

Pensieri in Bianco e Nero: aspirando ad un Carisma più alto

Prendo spunto da una non-notizia per alcune riflessioni a ruota libera. La mia squadra del cuore, la Juventus, ha vinto il nono scudetto consecutivo. Che pizza! Difficilmente ricordo un successo bianconero tanto poco degno di essere celebrato: la società ha intimato ai tifosi di non fare caroselli, ma personalmente penso che questo avvertimento quasi quasi non fosse necessario. Voglio cercare di capire le cause di tutto questo, di come siamo passati dall’addio di Alessandro Del Piero, a Juventus-Sampdoria 2 a 0, la partita meno emozionante nella storia del calcio.

E poi non ditemi che parlare di calcio è un cianciare di vanità: No, scusatemi! Il calcio ha in sè qualcosa di epico, qualcosa che trascende, qualcosa che, come la musica e il cinema, può trasfigurare la nostra vita. A tutti gli effetti è una quasi-religione: come in ogni religione ci sono i profeti, gli evangelisti, i sacerdoti ispirati, e dall’altra parte i farisei, i sadducei, gli scribi e via discorrendo.

Ci sono i “dilettanti”, quelli dalla fede più autentica, e i professionisti del pallone. Anche io nel mio piccolo sono un professionista e non voglio demonizzare la professione, Dio me ne scampi e liberi! Ma ogni professionista che vuole portare a termine la sua missione deve evitare di vendere la sua anima. Perchè una volta che l’hai venduta l’anima non la puoi ricomprare. C’è bisogno di “eroi professionali” con un’anima!

E se vendi lo stadio ad una compagnia assicurativa e indossi la maglia bianconera con il rispettivo logo, come puoi pensare che gli dei del pallone, oltre a farti vincere, ti facciano risultare simpatico alla gente? Meglio sarebbe giocare con il logo della Caritas o del Movimento Cattolico Globale per il Clima, o qualsiasi altra cosa! Su una cosa non sono del tutto d’accordo con Boniperti: la Juve è la Juve, non basta vincere e non si può sorvolare sullo Stile da Vecchia Signora, se non ci si vuole prostituire!

Chiudo con alcuni riferimenti personali. Sorvolerò su quella volta che sono andato in Curia a Pordenone con la maglia bianconera e sono stato ricevuto dal Vescovo e dal Vicario emeriti che mi hanno detto con un sorriso a 32 denti che “Qui siamo tutti Juventini”; a partire dal primo anno di Liceo l’incontro con il mio Virgilio personale, rigorosamente bianconero, mi ha plasmato l’esistenza, ma su questo ci vorrebbe un altro post. Anche a me sarebbe piaciuto giocare a calcio, in una squadra, magari nella Polisportiva Maddalena, assieme alla Leva Calcistica dell’82; magari non sarei diventato come Pinturicchio, ma è una coincidenza significativa che la Parrocchia da cui è nata quella squadra, la Parrocchia di Villotta di Aviano, è legata indissolubilmente alla figura di Padre Marco, e che la festa del 13 Agosto è proprio nel periodo in cui a Lisbona si gioca qualcosa di importante.

Chiudo con un pensiero positivo: il materiale umano della Juventus di oggi non è da buttare! Con qualche accorgimento di comunicazione si possono fare grandi cose. Davvero spero che il Carisma non sia “sporcato” e che i bambini di oggi si possano tornare ad innamorare dei nostri colori. Sarebbe bello che finalmente della nostra gioia possano godere anche quelli che supportano altre squadre, senza odi campanilistici fuori dal tempo. E magari un giorno festeggiare insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà a melone e porto!

De Familia

Un tema scottante

Sono ben consapevole di quanto sia delicato. Sento già in lontananza tafferugli tra le cosiddette Famiglie Arcobaleno – contro le quali non ho niente da dire pur non condividendone la visione – e il Popolo della Famiglia, dal quale mi trovo equamente distante.
Per me la famiglia non è quella della casa del Mulino Bianco, oppure la famiglia Forrester di Beautiful, o la famiglia reale. No, è qualcosa di molto diverso.
Rompo subito il ghiaccio con un pezzo fantastico dei Cranberries.

Ode to my Family

I love my “Natural” Family. I feel proud to be part of it and to be connected by blood with my relatives in Italy and Australia. My mother’s brothers moved to Australia in the 50s, leaving everything to look for a new life. I’d like to come back to Australia soon to spend some time with my uncle, my aunties and all my cousins.
Mi sento fortemente connesso in senso positivo anche con tutti i parenti dalla parte di mio padre. Non condivido il detto “parenti serpenti”; forse è vero che non ci si può scegliere, come si fa con gli amici, ma penso che quando si riesce a superare i più banali attriti e ricostruire la pace in famiglia, si realizza un piccolo miracolo, che merita un Nobel per la Pace.

Andare oltre il concetto comune di Famiglia

Ma la famiglia non è solo questo. Ci sono tanti altri contesti in cui si può respirare aria di famiglia.
Un articolo della Legge Scout dice che gli Scout sono “amici di tutti e fratelli di ogni altra Guida e Scout”. Eppure anche all’interno della grande famiglia Scout ci sono di quelli che ti stanno proprio sulle scatole, con cui riesci a condividere davvero poco. D’altra parte è vero che con molti di quelli che hanno pronunciato la Promessa sento una connessione tanto forte che quasi supera quella legata al solo “sangue”.
Mi ricordo quando ero Akela, di quanto mi stava a cuore l’obiettivo di ricreare un clima di Famiglia Felice tra lupetti e Vecchi Lupi. Che bello!

Ma nemmeno questo basta a dire tutto quello che c’è da dire.
La famiglia la puoi vivere a scuola, con la tua classe; nel contesto lavorativo, con i tuoi colleghi più o meno simpatici (mai sentito parlare di Economia di Comunione?); nel coro degli Alpini; con gli amici dell’Università; with the Villach People spread all around the World; con i Pipperi; con la Squadra di Pallavolo Misto; con il GIGIU; con lo ULAB; con Pardes; con il 985; con la Costituente della Consulta Giovani; con la Cellina Valley Crew e con tutti i simpaticoni della Nuova Contec; la GiFra; con tutti i “Vendramini”; in qualsiasi Comunità in cui ti capita di condividere qualcosa, e con questo includo tutti quelli che non ho citato.

Qualcuno potrebbe dire che parlo senza avere esperienza di Famiglia nel concreto. Forse è vero, non sono sposato e non ho figli, ma chissà cosa mi riserverà il futuro. Io lascio le porte aperte a quello che verrà.
Di una Famiglia però penso di avere esperienza, e mi riferisco a quello che Qualcuno ha detto:

«Mia madre e i miei fratelli sono quelli che odono la parola di Dio e la mettono in pratica».

Quello che conta davvero

Sono sempre stato ossessionato dalla felicità. Come per tutti, credo, la vita mi ha fatto assaporare momenti di intensa sofferenza e altri di pura estasi.
Questo susseguirsi di emozioni forti può comportare una notevole fatica e una grossa difficoltà a trovare un equilibrio, ma dopo quasi quindici anni di montagne russe sento come di avere cominciato a capire, a conoscere me stesso e quindi proprio quelle montagne russe che per molto tempo mi hanno fatto penare, adesso sono quasi delle colline e non mi fanno più paura.
Cosa è legittimo aspettarsi? Cosa vuol dire essere felici? La felicità è forse la pace dei sensi?
Mi chiedo, assieme a Mario Venuti e Carmen Consoli, se si può davvero essere felici per una vita intera, se è davvero così insopportabile.

Le montagne russe hanno un nome ben preciso, e non mi vergogno a fare outing dicendo di soffrire di disturbo bipolare. Non è qualcosa che mi definisce come persona, è una croce che mi porto dietro da qualche tempo, e che ho imparato ad abbracciare; è stata pesante ma non mi ha condizionato a tal punto da rovinare la mia vita, anzi, forse le ha dato davvero un senso. Eppure non per tutti è così, non tutti hanno avuto l’overdose di fortuna che ho avuto io.
Come canta il Max nazionale si tratta di “casi ciclici”, come la notte insegue il giorno, così la luna si alterna al sole, in tutti i sensi.

La felicità, per come la intendo io, è molto diversa dalla pace dei sensi, dall’assenza di conflitti, dall’eterno riposo. La felicità è affrontare ogni giorno e superare se stessi, vincersi.
La felicità è andare verso gli altri, andare per le strade, inseguire la felicità degli altri per ritrovare la propria. La felicità è essere vivi, dare la vita per un Ideale.
La felicità è giocare alla reciprocità dell’Amore.
Questa è, davvero, perfetta letizia!

Utopia fatta in casa

Davvero non riesco a sopportare il modo di dire secondo cui parlare di “Pace nel Mondo” sia equivalente a discutere del sesso degli angeli. Quando sento che qualcuno usa questa espressione mi infervoro, mi arrabbio e si scatenano delle reazioni biochimiche dentro di me che non mi fanno stare bene. Secondo il mio modesto parere, in questo particolare periodo storico, è quanto mai urgente parlarne, per comprendere quello che è successo nel passato, quello che sta succedendo nel presente e quello che potrebbe succedere nel futuro. Ho come la vaga impressione che ci sia qualcuno che abbia più a cuore che si parli di moda, di talent show e altre amenità piuttosto che la gente comune diventi consapevole di dinamiche sociali perverse e possa in qualche modo introdurre delle “anomalie” nel sistema.

Anche qui voglio fare riferimento alla Costituzione più bella del mondo, che all’Articolo 11 dichiara:

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

Quante volte consideriamo queste solo come delle belle parole. Dovremmo tatuarcele sulla pelle, caspita! Siamo abituati a considerare la Pace come “assenza di guerra”, ma per la vera realizzazione della persona umana (quella di ognuno di noi) dobbiamo passare all’azione. Non basta essere non violenti in senso passivo, ma sarebbe bello se tutti, nel nostro piccolo, promuovessimo e favorissimo iniziative di pacificazione a tutti i livelli
La Costituzione è solo un esempio, ma in diversi contesti esistono “regole” che, se prese davvero sul serio, trasformerebbero il nostro mondo in un Paradiso in terra. Tra quelle che conosco meglio ricordo la Legge scout ad esempio, alle regole monastiche e alla universalissima Regola d’Oro

“Fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te”:
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Di sicuro ogni uomo e donna di buona volontà potrà fare riferimento ad una “Regola” a suo piacimento.
Non c’è niente da inventare, la Pace non è qualcosa di complesso. Fare riferimento a grandi figure del passato può essere d’aiuto. Possiamo provare a pensare a questi uomini e donne non come a dei Supereroi, ma come gente che ha avuto la fortuna di ricevere una Chiamata, ha saputo vincere sè stessa e ha avuto il coraggio di andare fino in fondo. Si tratta di modelli che andrebbero studiati forse un po’ di più nelle aule di scuola. La Chiamata è rivolta anche a noi, ma spesso siamo occupati a pensare ad altro e non ascoltiamo nemmeno i messaggi della Segreteria.
I miei Fab4 sono, in ordine sparso: Chiara Lubich, Lord Robert Baden Powell, Padre Marco d’Aviano, San Francesco d’Assisi. Li ho scelti tra tanti perchè sono stati tra i grandi del passato che hanno avuto l’impatto più importanti sul mio percorso. Ognuno può scegliere i suoi e le sue. Sarebbe bello che i bambini raccogliessero le figurine di questi personaggi, ma forse è un’utopia. E magari insieme a questi uomini giusti anche noi potremo un giorno formare tante costellazioni.

La Pace è qualcosa di semplice, ma richiede dei requisiti imprescindibili. Non possiamo costruire pace se siamo in contraddizione con noi stessi. Quando ci sono dei conflitti interiori o delle situazioni non risolte con le persone più prossime a noi ogni nostro discorso sulla pace è un’illusione, prima di tutto per noi stessi
La Pace è qualcosa che si può (e forse si deve) fare in casa!

Dal Sepolcro alla Porziuncola

A cosa assomiglia il tuo posto di lavoro? Come lo “abiti”? Cosa ti evoca quando ti ci rechi ogni mattina? Mi permetto di prenderla un po’ larga…
A volte facciamo finta di non saperlo, ma il primo Articolo della nostra magnifica Costituzione dice che l’Italia è una Repubblica fondata sul Lavoro: non su Facebook, non sulla televisione, non sul Campionato di Serie A. Sul Lavoro.
Non è difficile realizzare quanto sia importante per la nostra vita attuare prima di tutto un buon autogoverno, fatto da cui dipende in modo indissolubile la nostra salute mentale. Personalmente penso che avere un rapporto sano con il proprio lavoro sia forse l’aspetto più importante su cui basare una vita davvero equilibrata.

Oltre ai contenuti del nostro lavoro (Cosa?) e alle modalità (Come e Quanto?) vorrei mettere a fuoco quelli che sono i contenitori e gli spazi in cui vengono esercitate le nostre attività (Dove?).
Se davvero il lavoro è un aspetto fondante della nostra comune convivenza civile, dovremmo pensare ai nostri posti di lavoro come a dei luoghi sacri. Ho in mente uno spazio fisico in cui realizzare una vera e propria elevazione, mettendo in gioco i propri talenti e facendo fiorire delle relazioni davvero armoniche. Come la sala prove di un coro. il posto di lavoro deve avere delle ben precise qualità dal punto di vista acustico perchè il suono risulti bello e pieno.
Può bastare poco per fare un salto quantico con il proprio pensiero, e cominciare a vedere il nostro luogo di lavoro con occhi nuovi. Quello che scrivo è il frutto di una meditazione guidata di cui ho fatto esperienza pochi giorni fa presso lo spazio artU, che ospita lo ULAB HUB di Pordenone. Da Sepolcro – per non dire campo di lavoro – possiamo cominciare a immaginare il nostro ufficio, la nostra officina, il nostro cantiere come una piccola Porziuncola
Sepolcro perchè, quando viviamo alla giornata, senza obiettivi, trascinandoci nella routine quotidiana senza mettere in gioco i nostri talenti, senza apportare il nostro contributo in termini di fantasia o di passione, lentamente stiamo morendo, e per osmosi anche il luogo che ci ospita assume le fattezze di una tomba. Ci sono diversi modi per rendere il luogo di lavoro, che condividiamo con i nostri colleghi, come un Sepolcro, e valgono per tutti i livelli dell’Organigramma: ognuno ha la possibilità di fare diventare un Paradiso quello che, senza cura, inevitabilmente diventa un Inferno.

Francesco d’Assisi ci ha insegnato la Via che è migliore di tutte. La sua tensione ideale trova nella Porziuncola il luogo dove vivere in modo veramente autentico.
Prima di tutto si fa ciò che è necessario, andando incontro a tutti i tipi di povertà e sofferenza. Poi si passa a ciò che è possibile, e infine ci si troverà a realizzare l’Impossibile. Al primo posto viene la Carità e la Fraternità, non l’accumulo di capitali e profitto. E forse anche noi possiamo declinare per il nostro luogo di lavoro la chiamata che ha sconvolto la vita di Francesco: “Va, e ripara la mia casa”