la mia classe al vendramini

Riflessioni sulla scuola

Colgo l’occasione del secondo giorno di scuola per molti studenti per mettere uno dopo l’altro alcuni pensieri su quello che è stato per me lo stare dietro ad un banco.
Devo premettere che ero un secchione – anzi “un secchiello con la paletta” per una cara amica – ma non voglio nemmeno oggi tediarvi con la mia storia personale. Concedetemi solo alcuni fugaci riferimenti qua e là.

Voglio provare ad andare contro all’idea dei Pink Floyd. I bambini di “The Wall” cantavano di non avere bisogno di educazione, intimavano ai loro professori di lasciarli stare. Al di là del fatto che i tempi sono cambiati, a me sembra che invece ci sia un gran bisogno di educazione, che della buona educazione e dei buoni maestri non possiamo proprio fare a meno. Il mio caro amico Bergoglio direbbe che la scuola dei muri dovrebbe lasciare spazio alla scuola dei ponti: l’ingegnere civico che ha a cuore le sorti della scuola ha di che sbizzarrirsi per proporre attività concrete ed astratte per realizzare questa idea.

L’educazione è una dimensione fondamentale dell’ingegneria civica, e a livello di scelte politiche comporta l’urgenza di decisioni delicate in questo ambito. L’ingegnere civico deve andare oltre il “panem et circenses” del post di ieri, perché la priorità non è il controllo delle masse, ma piuttosto l’emancipazione dell’uomo e della donna dei nostri giorni, la loro piena espressione.

Ricordo con grande piacere tutte le fasi della mia esperienza scolastica, dalla scuola materna fino all’Università. Ma forse quello che ha fatto davvero la differenza per me sono stati gli anni del Liceo, presso la Comunità Educante Elisabetta Vendramini di Pordenone. Spero non abbiate l’allergia alle scuole paritarie e in particolare alle scuole cattoliche, non voglio entrare nel merito dell’annosa diatriba tra scuole private e scuole pubbliche. A distanza di tempo le relazioni che sono riuscito a mantenere con i miei compagni di classe e con i professori mi hanno fatto realizzare che veramente facevamo e facciamo tutti parte di una comunità. Non eravamo dei prodotti ma dei progetti. L’efficacia della scuola si misura anche rispetto a questo. Ognuno deve essere aiutato ad esprimere sé stesso secondo la sua misura. Mi sento di aver fatto un pezzo di strada per arrivare fin qui, e per questo mi sento di ringraziare i miei compagni di viaggio e i miei maestri.

Chiudo con un riferimento ad un film che mi sta particolarmente a cuore, School of Rock. Tanto che l’ho preso come spunto per l’ambientazione dell’ultimo campo scout. Mi piace l’idea che ci sia un progetto dietro l’educazione, che può anche essere qualcosa di stravagante come la battaglia delle band. Come al solito non è importante il punto di arrivo ma il percorso che si fa per arrivarci.
Penso che tanti insegnanti avrebbero molto da imparare da Jack Black.